Il ricordo di un gesto

Oggi ho visto una cosa bellissima: ero in prossimità di una università e sul marciapiede opposto vedo mamma con figlio e, presumibilmente, figlia. Fermo in fila, attira la mia attenzione il gesto della madre -più bassa e minuta- che dà uno scappellotto al figlio, di quelli educativi, di quelli che non se ne vedono più.

Sorrido divertito.

Un attimo dopo lo scenario cambia totalmente: la madre, rotta dalla commozione, si para davanti il figlio inveendo contro di lui mentre la sorella -ignara di tutto- cammina avanti prendendo le distanze dai due.

La madre continua ad inveire verso il figlio, mèsto, che china il capo, declinandolo da un lato per non incrociare la sguardo duro di lei. Non basta. La madre gli si fa sotto, lui non reagisce e lo inizia a prendere a schiaffi in faccia. Una scena triste penserete voi, no, affatto. È stata la cosa più tenera e bella che posso aver mai visto fare da degli sconosciuti.

I “colpi” della madre, nonostante carichi di rancore e rabbia -forse dovuti a qualche fallimento negli studi da parte del figlio- erano trattenuti. Si leggeva benissimo che voleva punirlo per la delusione che le aveva appena recato -e che di conseguenza aveva gettato al vento i tanti sacrifici fatti per mandarlo a studiare- ma era il suo stesso sangue, una parte di lei, una delle cose a cui teneva di più e a cui voleva bene. “Ti colpisco anche se fa più male a me” traspariva questo nella sua espressione e nei suoi schiaffi.

E se questo non fosse già tenero di suo, sottolineo anche l’atteggiamento del figlio che subiva senza reazioni, i rimproveri fisici e verbali della madre. Non aveva il coraggio nemmeno di guardarla, ammettendo il suo errore e chiudendosi in sè in quel suo incassare. La forma di rispetto più alta che si possa avere verso un genitore e che ormai i figli non hanno più. Poteva fare quello che voleva, aveva la stazza e la forza fisica sia per contrastarla, che per sopraffarla. Eppure non ha nemmeno scelto il contrasto verbale, un mea culpa alla luce del sole ed è forse quello che frenava in parte la madre: il riconoscere da parte del figlio il proprio errore.

A completare il quadro c’era la sorella che, da lontano visionava il tutto e si preoccupava che occhi indiscreti potessero aver osservato la scena. I suoi occhi erano come a voler dire “noi non siamo così, ci dispiace per lo spettacolo”. Era un misto di emozioni: imbarazzata per l’inconsueto sfogo della madre, dispiaciuta per il fratello ma restando in disparte, non intervenendo e quindi, senza sminuire la figura di lei.

Insomma, una roba di pochi secondi che mi ha colpito così tanto e che mi fa ancora credere nella famiglia, nella giusta educazione e che il rispetto non è solo una parola da usare per incutere timore nel prossimo e per coercizzare le azioni degli altri. Ma un valore da tramandare e trasmettere ai proprio figli, perché sia la forza con cui sostenersi quando ci si crede soli.

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