Chissà cosa stai facendo adesso

Faccio parte di quella generazione che per cercare una persona, la chiamava, a casa; che con quel gesto era sicuro al 97% avrebbe prima dovuto parlare coi suoi genitori, cercando di fare una buona impressione in una presentazione letta solo nei libri delle buone maniere. “La prima impressione è quella che conta” mi ripetevo ogni volta che dovevo presentarmi come amico/conoscente/fidanzato, di fronte a persone che conoscevo per la prima volta. (tranquilli, non sono mai stato bravo coi buoni propositi)

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Una sensazione che molti oggi non potranno più provare era quell’ansia, dopo aver composto il numero, che passava tra gli squilli a vuoto e la prima risposta. Il cuore palpitava all’impazzata, accelerato mentre la testa iniziata a creare situazioni con botta e risposta, per essere il più preparato possibile, per non essere impacciato, per non apparire un cretino e per non essere etichettato con un appellativo difficile poi da togliersi di dosso.

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“Salve, sono Valerio, c’è per caso X?” sì, perché a quei tempi non c’erano cellulari, non c’era da potersi mettere d’accordo a stretto giro e quindi tu chiamavi senza sapere cosa l’altra persona stesse facendo o se stesse realmente in casa. Poi ti fermavi e sentivi che qualcosa non andava e quindi riformulavi la scena in testa.

“Buonasera, sono Valerio un amico di X, è in casa?” e sentivi che stavolta scorreva in modo più corretto, ti dicevi che andava bene e che ce la potevi fare. Prendevi convinzione ma, c’è sempre un ma: quella variabile non calcolata, non sempre considerata.

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Dopo almeno il quarto squillo -già, si tratta di un telefono fisso e quindi c’è bisogno di tempo per raggiungerlo- ecco che qualcuno risponde “Pronto?” e nonostante tu stessi aspettando solo quel momento, ti prende di sorpresa, in contro tempo. La cornetta si fa scivolosa perché le mani hanno iniziato a sudare ed hai perso il tempo per una risposta immediata e cerchi di rimediare: “Ehm..sì, salve, buonasera, sono Valerio…cercavo X..”. Perfetto, ottimo, uno schifo migliore non poteva uscire e quando pensi di aver fatto del tuo peggio, eccoti la variabile non calcolata: “Pronto? Non sento bene, puoi alzare la voce?”. Ebbene sì, la voce, il tono della voce. Dovete sapere che i cordless ancora erano utopia, che in casa il telefono aveva il filo e il più delle volte si trovava nell’androne di casa dove tutti passano o peggio, in soggiorno e tu per tentare di fare una telefonata privata allungavi il filo del telefono fino al massimo della sua estensione con le conseguenti grida di tuo padre che inveiva verso di te perché stavi rovinando il telefono. Facile eh? E stiamo solo parlando di una telefonata per sentire anche un semplice amico.

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Ma anche adoperando tutti i trucchi del momento, allungando il filo del telefono, della linea telefonica di casa, portandoti fisicamente via il telefono con te, tutto questo nella tua testa non bastava per far sì che la telefonata diventasse privata e quindi ci aggiungevi anche il fatto di parlare quasi a bassa voce. Voi penserete che non c’è nulla di male, se non fosse che state chiamando a casa di qualcuno che non vi conosce e può pensare qualsiasi cosa a sentire dall’altro capo di un filo, qualcuno bisbigliare.

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Tornando a noi, sei nella merda, l’altra persona non ha sentito e la prima impressione è andata a farsi benedire chissà dove, a favore di chissachì. Stai già arrancando e parti svantaggiato, l’ansia sale di più e con essa anche il tono della tua voce non più calibrata e impostata come nelle tue prove mentali: “Sì mi scusi, sono Valerio e volevo sapere se X era in casa”; e se pure pensi di averci messo una pezza, il macigno della gogna torna a schiacciarti: “Valerio chi?”. Troppo giovane e ingenuo per rispondere come tanti -ad oggi- avrebbero fatto e soprattutto ricordate la regola “La prima impressione è quella che conta”. Ai miei occhi, la mia, fu una mancanza e giustamente l’altra persona non mi conosceva, non sapeva chi fossi e voleva recepire più informazioni possibili per rassicurarsi che tutto fosse a posto.

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Il momento più brutto è quello in cui viene passata la telefonata alla persona che tanto desideravi; ormai la frittata l’hai fatta ma quel silenzio in cui una cornetta viene abbandonata, con te, che sei appeso a quel filo tanto fino, è struggente. Ti chiedi se hai rovinato tutto, se ti stanno deridendo o se invece è possibile che quella voce torni a dirti che non può passarti chi tu desideri e avere la tua prima delusione.

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Andavi a scuola, andavi a giocare con i tuoi amici e poi tornavi a casa e da quel momento non sapevi più niente di nessuno. Non c’erano foto visionabili su schermo, non c’erano orari dell’ultimo accesso da poter fissare e farsi un miliardo di pippe mentali su altrettante situazioni immaginarie. Potevi passare “per caso” sotto il suo portone e sperare che la sorte volesse darti una mano, come un qualsiasi sfigato che si rispetti penserebbe. Tranquilli, lo abbiamo fatto tutti, nessuno escluso e chi mente non ha conosciuto il suo vero padre! I più audaci magari erano riusciti a scoprire quale fosse la finestra della sua camera e andavano a vedere se, la sera, la luce fosse accesa o meno.

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Gli SMS ci hanno aiutato ma li pagavamo e avevamo solo 160 caratteri per messaggio; 160 caratteri in cui dovevi essere in grado di colpire, di catturare l’interesse e l’attenzione; 160 caratteri in cui dovevi esprimere tutto quello che volevi dire; 160 caratteri, contando anche gli spazi. Ma noi siamo ingeniosi, siamo creativi e non ci fermiamo ai limiti che ci impongono ed è per questo che poi inventammo “gli squilletti”. Una droga, per chi li ha vissuti; una droga a cui non sapevi resistere, dove spesso nemmeno più capivi se l’ultimo che avevi fatto era in risposta oppure in chiusura. Ma era un bel modo, semplice e diretto, per dire all’altra persona “Ti sto pensando, sì, sto pensando proprio a te”.

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Il tempo passa, la tecnologia ci viene incontro e ci mette sempre più in contatto, riducendo le distanze e le attese. Ci fa sembrare che chi vogliamo sia più vicino a noi, tanto da sentirla e così non importa più di che generazione sei e cosa non avevi prima. Non importa se ora hai le spunte blu, se il pallino è verde e ti indica che è “Disponibile”, non importa se un tempo guardavi la sua finestra dalla strada o se adesso fisso lo schermo, sperando che appaia la scritta “Online”. Di qualsiasi caso si tratti, c’è un pensiero che non morirà mai e che chiunque di noi si è fatto e continuerà a farsi: Chissà cosa stai facendo adesso.

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