Il bilancio di un anno

Siamo arrivati a quel momento, quello in cui tentiamo di fare ammenda per ciò che è stato e che abbiamo fatto; quello in cui cerchiamo di tirare le somme, in cui le illusioni prendono piede così come i falsi propositi che hanno meno coraggio dei pensieri che non tiriamo fuori e lasciamo dentro anche nell’ultimo momento dell’anno, ossia quello del bilancio.

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Siamo arrivati in quel momento dove tutto il rumore si trasforma in silenzio e diamo spazio a sorrisi amari, ai rimpianti, ai sospiri, a tutti quei “avrei potuto” oppure ai “farò”. Non c’è niente di più falso e meschino dei propositi per il nuovo anno e delle promesse mute che ci siamo fatti e rifatti a noi stessi, con noi stessi e che puntualmente non abbiamo mantenuto. Ma tanto che importa? Le abbiamo fatte tra noi, quindi chi mai può sapere se siano state mantenute, modificate o per nulla affrontate, no?

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Sorrido, sorrido perché immagino me -che faccio bilanci quasi tutti i mesi e mi perculo, continuamente, con obiettivi mai mantenuti nonostante gli sforzi tentati. Sorrido nel pensare a tutte quelle persone che postano o scrivono frasi, da sembrare gatti allo specchio che vedono rifletta una tigre. Aspettative, sogni, addirittura ma poi c’è sempre quella paura, quella malinconia, la solitudine di non riuscire, di non rialzarsi, di perdere, di cedere, di non farcela e non saper poi cosa fare. Un bilancio è positivo solo se sei un’azienda che guarda ai numeri -che poi anche quelle barano pur di avere il premio annuo. Noi però non abbiamo un premio, non ci arriva nulla anche se ciò che ci sembra di aver dato e ricevuto ci fa segnare il segno più; siamo così critici con noi stessi e con la nostra vita da non essere mai soddisfatti, da continuare a sbagliare, coprendoci di scusanti che sono abiti troppo grandi per calzarci a pennello e non ci fanno che risultare ridicoli all’esterno. Ma di occhi, un paio, ne abbiamo anche noi e pesa anche guardarci allo specchio, quello scavare dentro che tanto disturba quanto denuda.

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La soddisfazione a volte ci appartiene, così come il senso di appagamento per un ciclo portato a termine con la testa alta anche se il cuore è malconcio. Dove i sentimenti non hanno avuto la meglio, spostiamo l’asticella dell’attenzione a tutte quelle altre cose che ci hanno riempito o sostenuto. Come la musica, come gli amici, come il tempo impiegato, come un compagno a 4 zampe che è quasi un amico; come tutti quei riempitivi che ci sono sempre e che noi -maldestramente- utilizziamo e usiamo quando siamo più fragili.

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Siamo arrivati al momento in cui magari si manda a quel paese ciò che si è lasciato alle spalle, per dare il benvenuto e un abbraccio a quello che verrà, dimenticandoci sempre che tutto quello che è stato sono le radici che ciò che siamo ora. Noi siamo gli sbagli, gli errori, le sofferenze, le gioie e le conquiste passate; siamo le ferite, aperte e rimarginate, siamo le cicatrici coperte, siamo il cuore palpitante e trepidante di nuove emozioni; siamo la stupidità, la frivolezza e l’anima de li mejo mort…non dai scherzo!

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Siamo arrivati alla fine di un ciclo, uno di quelli piccoli che poi ne vedrà aprirsi di altri. Ne abbiamo viste tante e tanti ne abbiamo visti andare e tutti sono qui, dentro di noi, nei nostri pensieri, sia che siano viaggi che han preso direzioni diverse dalla nostra, sia che hanno visto un terminare dettato dal tempo e dal volere di qualcosa più grande di tutti noi.

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Sono arrivato qui e mentre scrivo l’ennesimo resoconto, cantando a squarciagola, ho un sorriso in volto e, dentro di me, che quello che questo ciclo mi ha dato non è meno di ciò che ho sempre avuto. Non guardo al bello o al brutto, penso che sono ancora qui, che ho ancora persone a cui posso riporre la mia fiducia e la mia sorte e che soprattutto sono ancora in piedi, pronto a combattere e affrontare a modo mio, tutto quello che mi si prospetterà. Farò ancora sbagli, avrò rimpianti e ripensamenti ma sono certo che continuerò ad avere un sostegno che mi farà ragionare quando devo e riflettere quando l’istinto mi dirà di gettarmi a capofitto, ignorando le conseguenze.

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Si finisce come si è iniziato: un foglio bianco e penna. Pensieri sparsi in attesa di essere rimessi a posto.

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